Sa Ramadura ha assunto per l’immaginario collettivo l’aspetto di una bellissima strada di petali colorati che incorniciano una fase della sagra di Sant’Efisio. È anche un atto di omaggio nei confronti del Santo che scacciò via da Cagliari il morbo della peste proteggendo la città da guerre e altre sventure.
Chiamata pure “infiorata”, sa ramadura – come la vediamo in TV – consiste nello spargere delicatamente per terra, con le mani, milioni di petali di rose preparate per l’occasione, scelte accuratamente.
E sarà ancora una volta magia: i lastroni granitici delle strade e il nero asfalto diventeranno una specie di tappeto colorato. Profumatissimo.
Un modo di fare che rguarda Cagliari, Pula e altre località affinché al suo passaggio, il cocchio che trasporta la statua del Martire Efisio il 1 Maggio, possa avanzare su un tappeto floreale.
Ma è davvero questo il significato più profondo del rito de Sa Ramadura?
Probabilmente no.
Anche la parola va distinta dal rito della “Infioritura“, perché da essa è per davvero qualcosa di ben diverso. E non come leggiamo nel sito della Regione Sardegna.
Sa Ramadura infatti, che ancor oggi affascina, è molto più antica e in passato era molto diversa. “Ramadura” è un termine che deriverebbe da ramo, o da ramaglie… dunque è sinonimo del tagliare e dell’usare i rami.
Già, e allora quali? Quali rami venivano scelti, e perché?
Rami di alloro ad esempio e, soprattutto, di menta selvatica, ma anche di mirto: erano profumatissimi e per questo motivo venivano posizionati in occasione delle processioni religiose, almeno le più importanti. Ciò avveniva un poco ovunque in Sardegna, lo sanno bene le confraternite religiose.
IL RITO avveniva non tanto per un fatto estetico e non solo per voler creare “tappeti verdi” o “colorati” al passaggio dei cortei, bensì per confondere, meglio ancora per alleviare l’odore predominante degli escrementi dei buoi e dei cavalli.
Rami profumati contro gli escrementi delle grosse bestie usate per trainare il cocchio, o le traccas e così via.
A pensare che in passato in tanti viaggiavano con i cavalli che, a centinaia, portati in processione, urinavano spesso lungo il tragitto e defecavano un poco ovunque.
UN DOCUMENTO. Esiste in tal senso un episodio curioso che ci riporta indietro nel tempo. Era il lontano 1671 quando un uomo, il signor Loi, venne incaricato di “accomodare il Passo de La Scaffa“, lingua di sabbia e terra, dotata di un ponte che consentiva di accedere a Cagliari superando la Laguna di Santa Gilla.
Il signor Loi dovette infatti “accomodare il ponte pagando 4 scudi e finalmente, detto Loi” si dovette occupare “di tutta la ramatura che si farà nella città secondo costume“.
Significa che questo rito era importantissimo, e non ha avuto sempre e solo a che fare con Sant’Efisio e con la sua bellissima sagra del 1656.
Dato che il documento (Custodito nell’Archivio di Stato nei contratti) non cita Sant’Efisio né la sagra, ma una “antica consuetudine” (avete letto bene, consuetudine… Vecchia), significa che era usanza sia per tale festa professionale e così per quelle del Corpus Domini, far largo uso di rami con essenze profumate.
Magari con qualche petalo in meno e qualche fogliolina profumata in più.
Anzitutto per smorzare, come detto, i cattivi odori e per un fattore estetico.
Buone sagre e buon primo maggio a tutti dunque, all’insegna delle tradizioni che si rinnovano diversamente, pur sempre al passo con i tempi.
Marcello Polastri
Ps. Sardegna sotterranea esprime un sentito grazie a Vincenzo, per la bella segnalazione e la stimolante riflessione.