Anfore e scheletri a Monte Claro furono ritrovati qualche anno fa.
Era il 2013 ed oggi, però, i siti archeologici che restituirono questi tesori sepolti, sono ancora sconosciuti ai più. Dimenticati. Come spesso accade in casi analoghi.
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“Quell’abbraccio lungo tremila anni“, titolammo in un articolo che dava la notizia di una importante scoperta: due scheletri custoditi – da quasi tre millenni – in un posto frequentatissimo della città. In una fossa scavata nel declivio collinare, sulla roccia che passa quasi inosservata, a due passi (proprio due), sul ciglio di un sentiero del parco provinciale accessibile da via Cadello.
Ma chi erano in vita questi individui? Come mai sono stati sepolti proprio in questo angolo di Cagliari?
Neanche la mente più geniale o un pazzo avrebbe potuto immaginare che, sotto la coltre di terra e aghi di pino, si nascondeva una tomba.
GLI SCHELETRI apparterrebbero ad un uomo e a una donna uniti, da quasi tremila anni, da un abbraccio che sembrava eterno ma quel presunto “gesto di affetto”, è stato interrotto dall’inattesa scoperta del 2013.
Sono nati così interessanti quesiti sul passato di Cagliari da quando, il 7 giugno di 3 anni fa, l’archeologo Nicola Dessì in compagnia di “assistenti” allo scavo iscritti all’Associazione Amici di Sardegna, nel rimuovere un mucchio di cocci antichi dal terreno, accanto alla grande fontana di Monte Claro misero in luce cinque grandi anfore “a siluro”.
Più sotto, i due scheletri che risalirebbero all’età punica. Forse alla seconda metà del IV sec. a.C.
A quei tempi Cagliari era una città di mare, sorgeva accanto allo stagno di Santa Gilla, costruì nella pietra di Tuvixeddu la sua città di morti.
E allora come mai, in un colle distante un chilometro dalla splendida necropoli, i punici seppellirono due individui?
Ancora quesiti e possibili scoperte. Perché questa nuova scoperta, diciamolo chiaramente, se da un lato è stata figlia inaspettata della stretta collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica e la Provincia di Cagliari con gli Amici di Sardegna, dall’altro lato meriterebbe di poter essere tramandata ai posteri.
Magari con un cartello esplicativo sul luogo del rinvenimento, corredatto da INFORMAZIONI storiche e perché no, qualche immagine.
Un’idea alla quale chi di dovere potrebbe dar gambe. Oppure no e… come spesso accade, far cadere sulla nostra storia il velo, talvolta colpevole, del silenzio.