Duemila e più anni fa gli antichi Romani celebravano una specie di Halloween, o festa per esorcizzare gli spettri dei morti.
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Era il Mundus Patet. Una importante ricorrenza scandita in 3 giorni e notti dell’anno che cadevano il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre.
Date ritenute “magiche” in quanto, per l’occasione, veniva tolto il sigillo tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
In molte città presidiate dai Romani veniva aperta la fossa che (idealmente) metteva in comunicazione il mondo dai vivi con quello dei morti.
In quelle giornate, stando alle testimonianze scritte, esisteva il pericolo che il Mundus poteva attrarre appunto le anime dei vivi… verso l’Aldilà. Da qui una serie di divieti, rigorosissimi, da rispettare. Ed anche di superstizioni.
Come quella di non dar battaglia (avrebbe portato male). Oppure di non prender moglie, e di non varcare la soglia dei templi sacri anche perché, le porte, venivano appositamente chiuse.
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L’analogia del rituale è stata accostata con quella della festa di Halloween e con la fossa scavata da Ulisse all’ingresso dell’Ade, nel XI libro dell’Odissea.
IL MUNDUS CERERIS era il “mondo di Cerere”, divinità che fa crescere le messi e guardiana della fecondità umana, dei fenomeni tellurici e del mondo sotterraneo dei morti.
Il Mundus Cereris è parte integrante di una delle tradizioni più arcaiche e oscure della religione romana.
L’origine del rituale ad essa collegata è quasi certamente etrusca e riguarda una fossa posta nel santuario di Cerere, consacrata agli dèi Mani. Aveva forma circolare a ricordare la volta celeste e l’universo.
Si trattava di un pozzo che aveva anche la forma simbolica di un utero rovesciato e che veniva scavato al centro della città al congiungimento degli assi di decumano e cardo. La fossa rimaneva appunto chiusa per tutto l’anno, ad eccezione dei 3 giorni del mundus patet.
IL RITO prevedeva che il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre il mundus fosse aperto e così quei giorni erano segnati nel calendario con la dicitura “il mundus è aperto” (patet).
La bella immagine del mosaico di un “Memento Mori” ritrovato a Pompei, presso la vecchia conceria detta l’Officina Coriariorum, oggi conservato nel Museo Archeologico di Napoli ci tramanda di quando ai tempi dell’antica Roma gli uomini fossero superstiziosi.
Questo mosaico romano rappresenta infatti la ruota della fortuna.
Una ruota che, girando su se stessa, potrebbe far diventare ricco il povero (la pelle di capra a destra) oppure, povero il ricco, simboleggiato dalla stoffa purpurea a sinistra. In ogni caso l’equilibrio della vita è molto precario per tutti e la morte è in agguato in ogni momento.
È come se la vita stessa fosse sospesa ad un filo, o tenuta da una “parca”: quando il filo si spezzerà, l’anima, raffigurata neL mosaico come una farfalla sotto il teschio, volerà via. Cosicché, a quel punto, tutti gli uomini saranno uguali. Uniti dalla morte che tanto spaventava anche gli antichi saggi.
Marcello Polastri