Quando lo incontrai per la prima volta nel convento principale dei frati cappuccini sardi, mi mostrò i presepi che aveva costruito con le sue mani fini e ben curate, mi illustrò il suo” orto.
Uscì dalla stanzetta nella quale tutti i pomeriggi lo andavano a trovare decine e decine di fedeli, prendendo il bigliettino numerato per mettersi in fila.
Indossava i sandali di cuoio con i quali si muoveva un corpo esile dal sorriso smagliante, incorniciato da una lunga barba bianca.
A prima vista, durante quell’intervista televisiva, mi ricordò fra Nicola e fra Nazareno. Prese a camminare veloce nell’andito del “convento costruito sulle grotte nelle quali i frati seppellivano al tempo della peste i morti”.
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Una volta all’aria aperta saltellava, per davvero, tra le rocce in mezzo alle quali, sempre i suoi confratelli, nei secoli passati avevano coltivato le erbe medicamentose che mi indicò una per una: salvia, timo, menta, rosmarino…
“sono tutte figlie di Dio, come noi, e meritano attenzioni, vanno accompagnate“.
Era il 2012 e Fra Lorenzo aveva poco più di 90 anni. In passato le sue mani che ora vedo legate con un pezzo di garza mentre giace nella bara ancora aperta, nel grande salone del convento, si sono ferite più volte, durante i lavori nell’orto, mentre zappava per “lavorare la terra”.
Egli stesso sperimentò sua sua pelle l’efficacia di alcune piante per curare “i mali del corpo”.
Si è occupato per decenni della farmacia del convento, assistendo tanti frati, vegliando al capezzale dei più anziani, verso i quali nelle lunghe chiacchierate che ho fatto con lui, parlando di tutto, mi ha detto di “avere una infinita ammirazione”.
“Ma quando a chiamare è il Signore, che sia fatta la sua volontà”.
“È incredibile ma fra Lorenzo non può morire, non ci può abbandonare“.
Sono solo alcuni commenti che, a centinaia, vengono come bisbigliati dai fedeli nel salone del Convento di Sant’Ignazio.
Commenti perlopiù di ammirazione, di grande rispetto, di affetto sconfinato seguito o preceduto dalle lacrime e dal dolore della perdita.
Era anziano e tutti lo sappiamo, comunque la Sardegna intera piange un fratello tutto studio e lavoro, dedito mattina e sera alla preghiera, per giorni, mesi e anni nei quali ha sempre manifestato rispetto per il prossimo, diventando un esempio di umiltà e di sensibilità.
Questo e altro ancora è stato Lorenzo, il frate cappuccino anziano più conosciuto a Cagliari che ha scelto il “suo” Convento per andare a morire, circondato dall’affetto dei frati cappuccini e dei suoi familiari.
Se lo sentiva e infatti si stava preparando già quando pochi giorni fa, nel letto dell’ospedale Santissima Trinità, stringeva in pugno un ciuffo di erbette aromatiche che i suoi fedelissimi avevano raccolto per lui. Un gesto d’amore.
Le annusava, le erbe provenienti dal convento, davanti ai suoi familiari premurosi, alternando al profumo della menta e a quello del basilico o della salvia, tanta sofferenza.
“Fragu bonu tenninti?” gli chiedeva in quegli istanti, quasi sottovoce, Padre Giovanni Atzori, già ministro dei francescani cappuccini e Fra Lorenzo rispondeva “Sì”, facendo anche un cenno con la testa, mostrandosi sorridente pur senza poter celare, in viso, la sofferenza.
Avrebbe compiuto 97 anni martedì 20 dicembre però la morte lo ha raggiunto in un giorno che forse non è una mera coincidenza: l’inizio della Novena di Natale.
Ha fatto ritorno nella casa di Dio, dentro al convento, ed ha lasciato qui il suo corpo ed una grande eredità spirituale, esempio di incommensurabile valore.
Oggi, alle prime luci dell’alba, i suoi presepi erano accesi, in un certo senso non sono mai stati spenti.
E le erbe dell’orto sono verdi; sarà per la brina o per il vento ma emanano come non mai, un profumo intenso.
Ed anche se nella sua stanza, proprio dove era solito ricevere decine di fedeli, la luce è spenta. Sarà un lungo e commovente pellegrinaggio che stavolta vedrà i fedeli accompagnar chi per decenni ha accompagnato e confortato loro.
Quale migliore considerazione e gesto d’amore per un umilissimo ma grande padre spirituale?