Archeologia industriale vai a farti friggere! Stando a quel che mostra il nostro reportage, tra non molto rimarrà poco o nulla dell’epopea industriale della Cagliari del dopoguerra. Perchè in effetti, oggi, sopravvive la sola torre dell’ex fabbrica della calce sulla cima del colle di Tuvixeddu. Un luogo simile, per certi aspetti, al paesaggio sommerso di Conan dei cartoni animati, ma che profuma per davvero di ruggine ed offre una immagine di mero degrado, di incuria del tempo e dell’uomo.
Le strutture di ferro, un tempo modellate da fabbri esperti, sopravvivono a ridosso di via Is Maglias e nel XX secolo divennero parte integrante dell’impianto per l’estrazione e per la lavorazione della pietra calcarea. In un grande forno infatti, la pietra estratta nel colle Tuvixeddu e oramai frantumata negli impianti periferici, diventava calce attraverso un delicato processo di lavorazione, a base di fuoco e poi, di acqua.
Sulla torre di ferro gli operai azionavano i macchinari e regolavano la potenza della fornace i cui fumi invadevano l’aria.
Assumere dosi eccessive di idrossido di calcio, si sà, può provocare sintomi pericolosi: ipotensione, difficoltà di respirazione, spurgo gastrointestinale, cambiamento drastico di pH nel sangue con possibili danni agli organi. Si racconta che gli operai della cava soffrissero spesso di problemi respiratori.
Nel frattempo, però, specialmente dal 1950 al 1970 il colle che ospitava la sua sentinella di ferro, continuava a perdere grandi banchi calcarei, alcuni dei quali inglobavano tombe puniche e romane.
Ad inaugurare la fabbrica della calce fu la famiglia Mulas. Successivamente, invece, fu la Italcementi che portò avanti l’attività estrattiva del calcare, utile per fabbricare cemento negli impianti di via Santa Gilla.
Tra il 1953 e il 1956 venne realizzata, sempre a Tuvixeddu, una strada interna di collegamento fra via Is Maglias e via Falzarego, allo scopo di facilitare il trasporto su camion della roccia estratta.
Una vera ferita nel cuore di Cagliari che ha decretato la fine dell’unità fisiografica della collina. Ed ora, di quell’epopea estrattiva che sembra così lontana e che invece dista solo trent’anni dai giorni nostri, resta ben poco.
Si è dissolta la polvere e il chiacchiericcio degli operai laboriosi, il fischio delle sirene che annunciavano l’esplosione delle mine. Resta solo la desolazione, e la ruggine che sta divorando come un male inarrestabile, la torre dell’ex cementeria. Chi potrà salvarla, con quali medicine?
Per le immagini ha collaborato il giornalista e fotografo Alessandro Congia. Tutti i diritti delle immagini sono riservati a Sardegna Sotterranea.