Carlo Felice, in bella statura nella piazza Yenne a Cagliari, “guarda inorridito le ruspe che frugano l’antica città che giace indifesa sotto i nostri piedi“.
Sono le parole dell’archeologa Maria Antonietta Mongiu rese pubbliche per sua stessa mano dal quotidiano l’Unione Sarda del 23 Settembre 2015.
Cosa succede nel Corso Vittorio Emanuele II? Cosa è stato scoperto, effettivamente, durante gli scavi archeologici?
Sono domande ricorrenti sia per i media e sia per gli esercenti del centro storico. I primi, incuriositi da quel telone verde posizionato dopo la scoperta delle antiche vestigia, ad opera degli operai intenti nel rifacimento dei sottoservizi.
A dividere l’opinione pubblica sono le ipotesi avanzate dagli esercenti del Corso: per quanto tempo ancora andranno avanti gli archeologi? E gli operai quando concluderanno i lavori?
Donatella Mureddu, archeologo-funzionario della Soprintendenza, assicura: “faremo alla svelta, perché si tratta di uno scavo archeologico d’urgenza ma i nostri archeologi devono pur avere il tempo di fare le dovute verifiche, poi si esprimeranno in merito a quanto effettivamente stanno riportando alla luce“.
LA SCOPERTA. Secondo gli esperti sono stati trovati i resti di due strutture, forse gli ambienti di una grande abitazione. “Quasi certamente il periodo di riferimento è quello della dominazione romana” precisa la Mureddu che aggiunge: “abbiamo anche individuato stucchi e interessantissime tracce di pitture“.
A dirigere lo scavo scientifico è l’archeologa Giuseppina Pietra con un affiatato staff di collaboratori.
Per adesso, fanno sapere dalla Soprintendenza, è presto dire di più. La curiosità è comunque palpabile nel centro storico.
Quanti passano accanto alle reti del cantiere sbirciano o si sporgono sullo scavo. Nelle reti c’è chi ha perfino creato veri e propri buchi per guardare oltre i mezzi e i lavoratori in azione.
NELLO SCAVO si notano tantissimi blocchi di pietra calcarea, lunghi più di un metro, larghi poco meno, posizionati accanto a una trincea.
Il colore della pietra, all’origine era chiaro: alcuni massi erano giallo-scuro. Passava da queste parti l’antica strada romana per Porto Torres, a breve distanza dal Tempio-Teatro individuato in via Malta, celato dall’attuale Palazzo delle Poste.
Era dedicato ad Adone e a Venere. Che forse non saranno contenti per la mano di chi ha occultato il loro tempio sacro, eretto per venerare queste divinità tanto care all’antica Roma.
Ben sappiamo che oggi il Dio del progresso e della modernità ha qualche mezzo in più rispetto al passato, almeno per permettersi il lusso di passare sulla storia. O magari, di valorizzarla.
In effetti è solo questione di scelte. E di soldi. Forse di volontà politico-amministrative per salvare il salvabile, per valorizzare e per non ricoprir d’asfalto le orme lasciateci in eredità dai nostri predecessori.
Così, anche Carlo Felice, potrà riposare tranquillo. Chissà se proprio lui, il Re di Sardegna, ritrovò qualche antico avanzo di civiltà romana alloquando nel 1823, fece realizzate la nuova strada (sul tracciato dell’antica via romana per Porto Torres).
La risposta è molto semplice, anzi è banale. Basta leggere la storia di un altro importante monumento della civiltà romana. Un indizio? Si trova sempre a Cagliari.
Comunemente c’è chi ha battezzato questo luogo con il nome de Sa Grutt’e Sa Pibera (Grotta della Vipera) e rischiò di scomparire a suon di mine esplosive. Sempre allora, nel 1823.
Pubblicato sul quotidiano Casteddu On Line del 23 Settembre 2015.