La via dell’argento è uno dei luoghi più suggestivi della Sardegna da scoprire. Partendo da Monte Narba.
Pensate a piccoli laghi, ai corsi d’acqua, al guado per raggiungere un bel sentiero che a sua volta rasenta un canyon.
Pensate alle gallerie sotterranee e magari, se avete tra le dita un anello o una collana d’argento, pensate alla sua origine.
Argomenti distanti, certo, ma in fin dei conti solo all’apparenza.
Perché in Sardegna esiste la Via dell’Argento e, se saputa osservare, consente di unire questi argomenti in un unico contesto ambientale, storico e culturale.
Ci troviamo nel territorio del Sarrabus e del Gerrei. A percorrere e a solcare passo dopo passo, dapprima a piedi e poi con i carri trainati dagli animali, la Via dell’Argento, furono uomini affamati, almeno 1500 minatori che andarono a lavorare nelle miniere della zona.
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Quelle gambe stanche, logorate dall’andirivieni, sorreggevano braccia e cervelli, arti e pensieri provati dalla necessità di guadagnare il necessario per vivere o… fate voi, per sopravvivere.
Mentre il minerale prezioso veniva consegnato a chi, dopo aver fatto una cernita accurata, era in grado di lavorarlo. Ad esempio di farne anelli, collane, vassoi o lingotti, spesso manufatti preziosi.
Se l’argento luccicava nelle case dei ricchi, la vita in miniera era, nel suo profondo, assai opaca, “roba per pochi, oggi sarebbe per nessuno” racconta un anziano minatore.
Invece quegli uomini e donne di Sardegna, con i loro bambini e familiari, si misero per davvero in marcia verso il progresso e la tecnologia, si stabilirono nel territorio del Sarrabus e del Gerrei.
Erano persone simili alle formiche affamate, però mosse da ferrei ideali, dotate di strumenti e di un intelletto ingegnoso.
Non a caso, quanti scelsero di vivere nel territorio del Sarrabus e del Gerrei popolandolo ma anche spolpandolo dei suoi minerali, si fecero strada tra montagne inizialmente impervie, e ben presto disboscate.
Con la costruzione di ponti ci fu chi superò corsi d’acqua temibili, costruendo lungo la Via dell’Argento umili case.
Sotto quei tetti di canne e tegole, sopravvissero alle intemperie umili vite che, diversamente dalle formiche laboriose, divennero l’anima del lavoro minerario, la forza dirompente che creò grandi buchi nel terreno.
Oggi, quelle bocche oscure che immettono nelle profonde gallerie, mettono i brividi.
Ma laggiù, nel cuore della terra, regna il silenzio. Solo la fantasia potrebbe animare i minatori all’opera mentre fanno pulsare le cariche esplosive, mentre cercano di strappare i minerali d’antimonio e d’argento.
Abbiamo raccontato un angolo di Sardegna di grande importanza e nel quale a cavallo di due secoli, più precisamente tra il 1800 e il 1900, le notizie sul metallo prezioso attirarono ricercatori e avventurieri.
A quei tempi ebbero inizio ricerche e scavi. Assieme alle attività estrattive nacquero i già citati centri abitati, alcuni dei quali sono andati in rovina ma un tempo erano come metropoli se rapportati alla densità di un territorio sardo, allora semi-deserto.
Nel solo complesso di Monte Narba lavorarono un migliaio di persone. Nella miniera intitolata a Giovanni Bonu nacque un moderno villaggio accanto ad un singolare pozzo estrattivo.
Era profondo 170 metri e dava accesso a oltre 20 Km di gallerie.
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Nei primi anni del Novecento, però, sopraggiunse il declino e le miniere della zona chiusero i battenti. Contemporaneamente nell’America Latina nacquero nuovi cantieri d’estrazione per l’argento che oramai, sul mercato mondiale, aveva perso drasticamente valore.
Dell’epopea mineraria sarda, lungo la Via dell’Argento, restano oggi i segni lasciati dall’uomo nel paesaggio circostante.
Un giorno, con Sardegna Sotterranea, visiteremo questo territorio, e ci recheremo nel Museo “La Via dell’Argento” che ben riassume la storia delle comunità minerarie attraverso le immagini, i racconti, tanti reperti e altri manufatti del lavoro e della vita in miniera.
Il Sarrabus conserva un patrimonio di rilevante interesse e che, diversamente ignorato, si sarebbe dissolto nel nulla. Eh sì, proprio come le gocce d’acqua che cadono nei pozzi inanimati delle miniere locali. Dove spesso le formiche scavano una tana e la naura si riappropria dei suoi spazi.
Ps. L’Associazione Sardegna Sotterranea – GCC ha a cuore i territori nostrani da promuovere e organizza, su prenotazione, la visita ai complessi minerari e centri turistici della zona.
Per partecipare ale nostre attività scrivici a: sardegnasotterranea@gmail.com
Sullo stesso argomento potrai leggere: Le Miniere di Tuvois