Vedere, quasi impotenti, le ruspe che le distruggono, significa – perlomeno per quanti le amano – ricevere una pugnalata al cuore. Perché le cisterne sotterranee che si nascondono in molte aree di Cagliari (quella nell’immagine sorgeva in un cantiere edile dell’ormai demolito cinema all’aperto “Arena Giardino” di viale Trento 17), potrebbero raccontare tante storie, svelare ad esempio particolari interessanti sulle usanze delle popolazioni che in passato si stabilirono in Sardegna. Sui consumi domestici delle riserve idriche, sui secchi e anfore usate per attingere l’acqua. E, come tali, questi tesori scavati nel cuore della terra, andrebbero tutelati.
CAGLIARI. Da Castello a Bonaria e da Tuvixeddu all’Anfiteatro, tanti pozzi artesiani e cisterne sotterranee si mostrano isolate nelle viscere della città del sole; in taluni casi si compenetrano per via delle esigenze dell’uomo del passato, che raccordò varie cisterne in modo da aumentarne la capacità di raccolta, sotto la coltre rocciosa che sorregge strade e palazzi.
Alcune cavità idriche sono accessibili, altre occluse, per via delle colate selvagge di cemento o di rifiuti. Altre ancora sono scomparse facendo posto all’espansione urbanistica. E’ una storia che si ripete in varie località della Sardegna.
A pensare che queste opere monumentali scavate nel duro calcare, furono dapprima progettate e poi realizzate ad arte consentendo a intere generazioni (delle quali poco o nulla sappiamo), di attingere l’acqua.
L’utilità di queste cavità sotterranee (in Sardegna furono create a partire dal periodo della presenza fenicio-punica), era legata alla raccolta dell’acqua piovana.
Una consuetudine, il ricorso alle cisterne sotterranee, che si è protratta per tutto il Medioevo e il Rinascimento soprattutto a Cagliari: nei suoi quartieri storici era in auge ancora durante la seconda guerra mondiale.
Esistono cisterne in tutti i paesi della Sardegna, soprattutto nei centri sorti in periodo romano. Soprattutto nei castelli medievali.
Senza però dimenticare che anche i Nuragici erano abilissimi nella realizzazione delle riserve idriche, seppure non utilizzavano il cocciopesto. Questa malta idraulica, rendeva perfettamente impermeabili le cisterne puniche e romane grazie a un impasto di argilla e di cocci in terracotta triturati.
In questo modo i serbatoi antichi diventavano utili quanto i moderni serbatoi di plastica che siamo soliti vedere sui tetti delle nostre case.
Risulta che in antichità come oggi, Cagliari era una città penalizzata a causa dell’acqua salmastra: possedeva stagni e lagune dalle quali produceva un ottimo sale ma la città era priva di sorgenti, se escludiamo alcune falde idriche celate peraltro a grandi profondità, dunque difficilmente raggiungibili, anche per mezzo di pozzi.
Nel quartiere Castello, la “Fontana di San Pancrazio” supera i 100 metri di profondità e non è la sola ad attestare il faticosissimo lavoro umano svolto dai dominatori di turno che si stabilirono in Sardegna. Quasi tremila anni fa, infatti, tutte le abitazioni della Cagliari punica e romana, per far fronte ai lunghi periodi di siccità, erano provviste di cisterne sotterranee.
Molte di queste cavità idriche sono state esplorate di recente. Hanno una profondità variabile tra i 4 e i 6 metri ed una larghezza che oscilla tra i 3 ed i 5 metri. La loro pianta, nella maggior parte dei casi è circolare. Se osservate in sezione, la loro forma è piriforme.
Ed infatti sono simili a una pera o ad una grande campana, come la cisterna del Bastione del Balice. Si tratta di un vero monumento sotterraneo sconosciuto ai Cagliaritani: situato in piazza Yenne, sotto il Bastione del Balice (appunto o dell’Università), sorge praticamente ai piedi del quartiere Castello ed è stata scavata in un banco di roccia sul quale è sorto un palazzo.
Possiamo ammirare cisterne simili anche in alcuni siti archeologici: Anfiteatro romano, Villa Tigellio, Orto Botanico e in numerosi pub cittadini. Come quelli di piazza Yenne, o nelle gelaterie della zona.
Le cisterne di Cagliari andrebbero considerate “il cuore” della vita storica cittadina. Perché, fin dall’antichità alla nascita del moderno acquedotto che sorse nella seconda metà del 1800, consentirono di raccogliere e conservare l’acqua piovana. Acqua, eh già… mica cosa da niente. Parliamo di una fonte di vita per eccellenza.