CASTEL di CASTRO: Fascino delle epigrafi e delle Fontane

Un giorno un signore tutto casa e chiesa, tale Giovanni Spano, passeggiava nel quartiere Castello accostandosi alle vetuste epigrafi che sorgevano in prossimità delle strade e nelle piazze rionali. Annotò i caratteri cubitali, traducendo quelle scritte e rimase affascinato dalla storia delle medesime lapidi che annoveravano i pozzi e le fontane “scavate nel sasso” per offrire refrigerio ai castellani…

La cosiddetta “acqua di pozzo” captata nelle viscere del Castello, veniva “succhiata” con particolari congegni chiamati “norie”: doppie ruote provviste di corde che tenevano uniti contenitori metallici o di terracotta, legati ai lati della “ruota” con del cordame, indispensabili per portare in superficie il liquido captato a profondità notevoli.

Queste acque di falda, come disse lo Spano, “erano tenute in gran considerazione” anche dal popolo, costretto a pagare pur di avere una botte di avqua poco salmastra, o “potabile”. Erano “acque di profondità” ambite dalla gente comune e dai poveri, che solitamente, per bere, ricorrevano all’acqua piovana contenuta nelle singole cisterne (private oppure condominiali, dunque più capienti), celate sotto il pavimento delle case e dei palazzotti. Mentre le acque di falda erano considerate “più leggere” e, non di rado, meno calcaree se fatte decantare!

Nella “Guida della città e dintorni di Cagliari“, edita nel 1861, il Canonico descrive la città di allora che non è poi così diversa dalla nostra Cagliari. Certo, le auto fanno la differenza e l’asfalto presente nelle strade. Rispetto ai ciottoli e al granito che compariva nella tipica pavimentazione stradale. Sono state abbattute numerosissime mura, per volere del Sindaco Bacaredda ma, nel sottosuolo, ben poco è cambiato. Perché alcuni pozzi e fontane, come quelli descritti dal prete-archeologo ottocentesco, riposano proprio al di sotto del bitume stradale, sotto la crosta d’asfalto.
Sapevate che dei 5 pozzi descritti da questo personaggio, solo 2 sono oggi accessibili!

Uno è profondo un centinaio di metri. L’altro, invece, profondo appena 6 metri, è stato quasi del tutto “intasato” da detriti e macerie. Un vero peccato, alla faccia delle fatiche umane patite dai nostri dominatori o meglio, da noi sardi schiavizzati dai dominatori di turno, pisani, aragonesi, spagnoli e piemontesi che utilizzarono questi pozzi. Tra l’altro alcuni di questi “ambienti sotterranei”ad andamento verticale, sono stati creati in periodo romano, e usati successivamente.

Dalle cronache medievali (leggasi manoscritti) scopriamo che le acque contenute nei pozzi del Castello, erano tenute in gran considerazione dai Viceré: lo testimoniano i caratteri cubitali delle lapidi e delle epigrafi, come quella immortalata qui sopra che apparteneva alla seicentesca fontana di Santa Lucia.

Quel che è scritto, è vero, rimane! Pertanto anche le epigrafi castellane tramandano ai posteri “aspetti di vita” che – molto spesso – cadono nel dimenticatoio. Per evitare che questo accada, cari amici, basta fare un giro a Castello, osservare le facciate dei monumenti e delle palazzine locali, scovando la loro storia con la lettura di una semplice ma, al tempo stesso, preziosa epigrafe.

Scrisse lo Spano: “Abbiam detto che in tutto il Castello esistevano 5 fontane. Questa di Santa Lucia è quasi dirimpetto alla Chiesa, edificata al tempo degli Spagnuoli nel 1604, come dall’ iscrizione ch’ è all’ ingresso”:

 

D. O. M.

Felicissime regnante serenissimo et invictissimo Philippo Hispaniarum et Sardiniae rege Catholico Tertio orbis monarcha orthodoxae fidei protectore Calaritana Civitas totius Sardiniae Regni caput primas praesidium et emporium celebre hoc fontis B. Luciae nominatum opus aere publico fieri curavit. Consulibus Gaspar Fortesa Petro Johanne Otgerio Stephano Satta Quenza Antioncho Maltes et Matheo Xinto anno a Christ i nativitate MDCIlII.

 

Questo pozzo scavato nella roccia nel punto più culminante del Castello ha di profondità 120 metri circa, l’acqua è limpida, ma è un poco salmastra.
L’altra fontana è in poca distanza sotto la piazza vicina, detta di Vittorio Emanuele, e comunemente di San Pancrazio. Questo però è più antico, perché rimonta al tempo dei Pisani, e da molti si crede che vi esistesse fin dal tempo dei Romani, attesa la sua struttura interna.

Prosegue il Canonico Spano, con una interessante descrizione che indica la sua passione per le antichità cagliaritane e sarde in genere:

“Prima, il buco, l’ordegno (la noria) e i recipienti esistevano in mezzo la piazza; di modo che era deturpata ed incomoda, esistendovi anche la casupola pei cavalli, che giorno e notte girano la rota del mulino per tirare l’acqua che si porta in botti per la città per uso delle famiglie. La voce generale dimandava una riforma di questo locale, perché il fango dell’ inverno, ed il fetore della state incomodavano i cittadini che ivi traversavano per recarsi alla passeggiata.


Si fecero varii disegni per cambiare la forma del casamento, e fra questi vi era quello di dare al medesimo l’aspetto di un tempietto circolare; ma non si toglieva l’ingombro della piazza ch’è una delle più belle del Castello, sebbene irregolare.

Fu il conte Don Carlo Boyl, allora Colonnello ed ispettore dell’ Artiglieria Reale, che propose di rimpiazzare il casamento sotto terra, scavando nella roccia, per collocarvi il meccanismo del molino, discendendovi per mezzo d’una rampa che sta all’angolo sinistro, e coprendo la sala e galleria da una gran volta. Fu terminata nel 1825, e perché si dubitava della solidità, onde provarne la forza, vi si collocarono sopra 4 cannoni di bronzo di grosso calibro e, col loro affusto, vi si lasciarono per più settimane, senza che la volta abbia per nulla sofferto. L’acqua che si estrae si è fatta passare sotto il livello della piazza per mezzo di un canale di piombo che la conduce alla piazza di Santa Croce, ove esiste il deposito e dove Con facilità concorrono i carri per trasportarla in città.Questa bellissima opera il sullodato Conte di Boyl la fece eseguire coi servi di pena; e perchè lo stato della finanza civica era ristretto, fece la spesa con un sussidio che ottenne dal Re Carlo Felice, che generosamente lo diede dal suo patrimonio privato. Da qualche tempo questa c fontana non è in attività, per mancanza di appaltatore che non vi trovava il suo conto. L’acqua di questa fontana è meno salmastra delle altre. Con una pompa che comunicasse alla sottoposta vasca, potrebbe portarsi all’angolo della piazza con molto vantaggio di tutti…”.

 

Conclusioni:

Di recente abbiamo constatato che  l’acqua è sempre presente in fondo al pozzo ma nessuno ne trae vantaggio. Se qualcuno si decidesse a mettere in atto le “sante” parole del Canonico Giovanni Spano, forse sarebbe un gran bene. Non vi pare?

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