A Cagliari quello che è stato preannunciato come “un nuovo spazio culturale” restituito ai cittadini e e ai turisti, rappresenta un pezzo importante della storia urbana. Li chiamano i grottoni dei Giardini Pubblici (giardini verdi meglio noto come “il Terrapieno” sul viale San Vincenzo). Si aprono nel lato orientale della città e più che altro sono cavità sotterranee artificiali molto grandi, modellate dalla mano dell’uomo per estrarre la roccia calcarea.
VECCHIE CAVE di pietra quindi, alla base del costone roccioso verso viale San Vincenzo, delimitazione naturale, questa, della parete di cava del colle di Buoncammino. Queste ampie sale si addentrano per 800 metri quadri sotto una porzione del Castello, ma è dietro la Galleria Comunale d’Arte che si aprono i loro tre ingressi.
C’è chi fa risalire questi ipogei al Medioevo, chi all’epoca Sabauda. Divennero, di sicuro, un frequentatissimo rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. Lo attestano i muri protettivi e le panche in muratura realizzate nei cameroni più profondi per accogliere i rifugiati.
Nel dopoguerra l’abbandono. Ed il riuso come abitazioni di fortuna da parte della popolazione civile che, oramai priva d’un tetto per gli ingenti danni di guerra, andarono a vivere come topi sotto la città.
La grotta divenne una specie di discarica. Al suon interno si poteva trovare di tutto: dai gatti mummificati, resti storici (parrebbe di una chiesa), la Pietà di gesso del celebre scultore Francesco Ciusa, un carro funebre di fine Ottocento, come quello pubblicato nel libro Cagliari la città sotterranea (M. Polastri, Ediz. Sole, 2001).
Ed infatti l’Associazione Sardegna Sotterranea con il Gruppo Cavità Cagliaritane scrissero alle istituzioni. Era il 2012 e intervenne l’assessore regionale alla cultura (vedi il reportage).
Questi spazi, secondo gli studiosi, vennero realizzati durante il medioevo per estrarre i blocchi di pietra da costruzione necessari per la realizzazione degli edifici dell’epoca. Dai primi mesi del 2002 la cavità è stata ripulita e predisposta per un suo recupero ma i lavori, per dirla tutta, procedettero a rilento. La grotta divenne così una specie di bagno pubblico, invasa dagli escrementi. E nuovamente una specie di discarica.
Nel 2015 la svolta, con l’apertura al pubblico come luogo d’arte, di esposizione e di sperimentazione culturale.
Ancor oggi i suoi spazi mostrano, sulle pareti e sulla volta, i segni lasciati dai cavapietre: sono ben visibili i fronti di cava nei quali lavorarono gli antichi per estrarre i blocchi da costruzione. Si leggono alcune scritte incise nelle pareti, si ipotizza risalgano all’800. Da pochi giorni sono state aperte al pubblico.
Dotate di un pavimento ligneo e un costosissimo impianto luci, non bellissimo da vedersi accanto alla pietra cantone, roccia sedimentaria marina necessaria a ottenere il materiale edilizio con il quale è stata costruita la Cagliari medievale, sarebbero un esempio di arte moderna che si sposerebbe bene con il passato.
Così si dice. Ovviamente è bello quel che è bello; è bello quel che piace. Bello è, certamente, il recupero di questi luoghi: la loro restituzione alla città, all’insegna della fruizione collettiva.
Marcello Polastri
Grazie ad Alessandro Congia per le immagini.