Correva il 1993. A Cagliari, un gruppo di ragazzini tra i 12 e i 15 anni, decise un pomeriggio primaverile di risalire le pendici di Tuvixeddu. Da un lato il colle appariva come un giardino lontano anni luce da Cagliari, vivacizzato da lucertole e dalle more, con verdi ciuffi di capperi e bianche rocce sparse qua e là come pecore. I ragazzi intrapresero una battaglia per la sua salvezza…
Tuvixeddu era l’ideale per evadere dalla noia e dalla quotidiana spremuta di partite a calcio e videogames. Così quei giovani varcarono il “giardino dei passi perduti” che viveva nei racconti di imprese eroiche di tanbti ragazzi del quartiere vecchio di Sant’Arennera.
Antonello, Stefano, Marcello, Diego, – questo il nome dei ragazzini – di li a pco scoprirono un luogo abbandonato e sconosciuto ai più che, paradossalmente, consideravano come uno dei più bei posti al mondo, del loro mondo confinato in una Cagliari da scoprire!
Il colle apparve ricco di insidie: era “tutto cavo”, strapieno di pozzi, cunicoli, gallerie buie e misteriose che lo rendevano affascinante.
A quei tempi la superficie collinare era raggiungibile da una scorciatoia situata dietro una casupola diroccata in viale Sant’Avendrace, o dalla strada sterrata di via Falzarego dove, sovente, accedevano auto che si appartavano dietro le alte sterpaglie.
Era l’eden delle coppiette. Ma anche il paradiso dei tombaroli. Tuvixeddu era terra di nessuno: di giorno era pericoloso passarci, la notte era una sorta di giungla urbana dove si muovevano inditurbati ladri d’auto o di motorini: le viuzze sterrate erano una sorta di cimitero di rottami e di scocche di auto di origine non identificata.
Li bazzicavano scaricatori abusivi di rifiuti che aggiungevano macerie alle macerie. Tra l’erba spontanea scorrazzavano cani randagi zeppi di pulci, e rischiavi di beccarti zecche fameliche se sfioravi appena l’erba secca.
Il terreno era pieno di buchi neri, talvolta vivacizzati dai colori delle cartacce e dei rifiuti moderni. Una volta, in una tomba, trovammo perfino un manichino.
Tuvixeddu, si racconta, deve il suo nome ai pozzi insidiosi che spalancano la loro bocca sul terreno, dove un passo falso potrebbe catapultarti giù.
Osservare il fondo di quei buchi – per i ragazzi del 1993 – era come specchiarsi sul passato: in fondo al pozzo, rigagnoli di fetide acque riflettevano il volto di chi, tra quei fanciulli, si specchiava.
Li, i giovani, idearono un gioco inusuale non privo di pericoli: dare la caccia ai tombaroli.
Così una sera, osservando un gruppo di uomini di mezzà età che all’imbrunire accedevano in un pozzo, i ragazzini li seguirono. Nascondendosi nell’erba, seguirono le mosse dei malintenzionati che si calarono con una corda dentro un pozzo.
Alcuni di quesi ragazzini sono poi divenuti i volontari del Gruppo Cavità Cagliaritane, eravamo noi!
Incuriositi, sentivamo appena l’eco del piccone dei tombaroli che lavorava, a diversi metri di profondità sotto la strada sterrata di Via Falzarego. Li di tanto in tanto passava una pattuglia dei Carabinieri o della Polizia ma era impossibile notare la benché minima luce anche nella più buia notte, perché i predatori dell’arte perduta scavavano sottoterra dove erano abili a spaccare la roccia, per passare da una tomba all’altra dopo aver sondato la parete di roccia, in cerca del vuoto, della camera di fianco da depredare dei suoi gioielli.
Decidemmo di chiamare rinforzi: contattare gli uffici della Soprintendenza, dei Vigili Urbani ma scoprimmo che non potevano intervenire in modo preventivo!
Nelle sere in cui i tombaroli lasciavano il lavoro a metà, magari abbandonando temporaneamente i reperti dentro quei monumenti sotterranei profondi e quasi inimmaginabili, entravamo in azione: ci calavamo sottoterra e scoprendo quegli oggetti preziosi, chiamavamo le forze dell’ordine non appena raggiungevamo la cabina telefonica di Viale Sant’Avendrace. Ciò accadde diverse volte! E per fortuna tanti reperti furono sottratti al mercato clandestino dell’arte!
Più volte provammo amarezza e tristezza quando capimmo che spesso, sui giornali, c’era chi lamentava l’abbandono di quella collina sacra e poi nulla poteva per porre fine al deplorevole degrado che la affliggeva.
Conoscevamo bene quel posto, considerandolo come un fratello con il quale dialogavamo, con il quale avevamo instaurato un rapporto di gioco, divertimento, complicità.
C’era anche un pastore amico di quei luoghi: all’ombra di una pineta portava al pascolo uno sparuto gregge di pecore e sonnecchiava dinnanzi alla sottostante città, al serpentone di auto che si muoveva frenetico da via Is Maglias a San Michele.
Oggi, il pastore non c’è più. Forse i cani randagi sono morti e magari riposano nel vecchio cimitero dei punici e dei romani. Tuvixeddu, per fortuna, esiste ancora. Per quei ragazzini era considerato uno dei più bei posti del mondo! Perché ne scoprirono l’essenza e cercarono di difenderne a tutti i costi la storia.
Gli articoli che seguono sono alcune tappe dei nostri tentativi di difendere l’identità di un luogo che merita, per davvero, di ricevere i visitatori curiosi della Cagliari d’oggi e del futuro.
Le Grotte di Cagliari in una lettera inviata ai cronisti de L’Unione Sarda da Marcello Polastri, allora 14enne, nel 1993.
Tombaroli a Tuvixeddu: 10 Novembre 1993 …
Articolo del 21 Ottobre 1993, dall’Archivio del GCC e de L’Unione Sarda.
Articolo del 27 Agosto 1995…
Articolo scritto nel 1993 da Marcello Polastri, sul mensile Sardegna Magazine.