Ci sono alcuni cartelli superstiti lungo il sentiero, non manca il parapetto di legno ai margini dei vialetti panoramici sulla montagna, ma il Castello di Monastir a due passi dall’omonimo paese, meriterebbe di più. Considerato che tra i resti delle sua mura, i cartelli giacciono sul terreno e le reti sono divelte.
Il Generale Alberto La Marmora nel lontano 1800 lo definì un nido d’aquila’, strategico e di difficile accesso, perché sorge in un’alto colle a dominio dei circostanti territori del Parteolla e del basso Campidano, nel sud Sardegna.
Alla sua base, alle pendici del Monte Olladiri aggredite da una vecchia cava (enormi scavi circondano i resti della fortezza), troviamo delle antiche DOMUS DE JANAS, particolari “grotte”, minute, artificiali, usate nella preistoria per seppellire i defunti.
TROVIAMO, più in alto accanto al Castello, muta sentinella di questo luogo incantato, un gabbiotto di legno che ha tutta l’aria di un locale nato per promuovere la bellezza del posto, dai panorami unici godibili da quel che resta di un castello il cui cancello d’accesso è spalancato.
Situato nel comune di Monastir, a pochi minuti da Cagliari, questo monumento fa anche parte delle schede del Ministero per i beni culturali e di Wikipedia ma, di fatto, attende una precisa opera di valorizzazione e di messa in sicurezza.
Tutta l’area che circonda il Castello è un miniera di storia. Basti pensare che il primo insediamento umano risale al Neolitico (3000 a.C.) e numerosi rinvenimenti archeologici nuragici, punici e romani testimoniano che il territorio continuò ad essere popolato anche nei millenni successivi. Nella zona sono stati ritrovati una testa alta 10 cm di una statuetta in marmo della Dea Madre. Ed anche ceramiche nuragiche, frammenti di vasi fenici e greci risalenti al VII-VI secolo a.C. e un pane di piombo.
Nel Medioevo, quando sorse l’abitato attuale, fu ad opera dei monaci Camaldolesi. Infatti il nome Monastir sembra che derivi dalla parola catalana che indica un monastero. Un’altra teoria riporta invece al termine sardo, “muristèni“, che indica i posti come ad esempio le casupole dedicate alla sosta e al rifornimento dei viveri per i viandanti. Possibilità avallata anche dal fatto che Monastir è sempre stato un punto importante per chi viaggiava lungo l’asse Sud/Nord.
Per lunghi anni il Castello di Monastir è stato circondato dai mezzi meccanici perché erano in attività ancora qualche tempo fa, alcune cave che hanno sbancato la roccia circostante il maniero. Cave che hanno come “divorato” la roccia collinare, creando profonde depressioni.
Sorto su un precedente insediamento di epoca nuragica, il Castello (“Su Casteddu” in sardo), venne eretto sulla cima del Monte Oladri: era la metà del XII secolo e i giudici di Cagliari lo direbbero indispensabile per controllare e difendere il territorio circostante.
L’edificio, al pari di altri Castelli della Sardegna, passó agli arborensi e poi ai della Gherardesca che possedevano anche i castelli di Acquafredda e di Gioiosa Guardia tra gli attuali territori di Siliqua e Villamassargia e, successivamente, fu distrutto dai Pisani intorno al 1308.
Nel sito del Ministero per i beni e le attività culturali, leggiamo che l’ultimo evento culturale dedicato al Castello di Baratuli a Monastir, risale al 30 settembre 2012. Il 15 novembre 2014 una visita ideata da alcune associazioni, e poi, nuovamente silenzio.
Al suo interno, tra le mura superstiti, cresce, rigogliosissima, la vegetazione spontanea che ha preso il posto dei cartelli esplicativi posati suo terreno, ed evidentemente rotti dall’incuria del tempo e dell’uomo.
Già, ma quando verrà valorizzato e messo in sicurezza? Chissà.
Pubblicato il 22 Gennaio 2017.