Una mitica città romana che in tanti sognano di scoprire in Sardegna.
ARTICOLO DI ANDREA GOVERNI.
VALERIA. Non si sa se sia veramente esistita. Non sappiamo dove fosse esattamente situata.
Valeria. Come una donna eterea e misteriosa. Come un luogo dimenticato dalla gente comune, ma non sopito completamente nella memoria delle menti più inclini all’ enigma.
LE INDAGINI. Per svolgere l’indagine in merito alla colonia di Valeria è necessario ripercorrere il periodo storico in cui la Sardegna da Punica divenne Romana nel 238 a.C. E non va confusa con la città di Valeria edificata dal pretore Flaco altrove. O con la Valeria dell’Ungheria.
Immaginiamo quindi, in Sardegna, la trama di un copione definibile rituale per il popolo conquistatore più celebre della storia: approfittare della debolezza politica in un determinato frangente storico per insinuarsi veementemente sul territorio, come una fiera che si giova della fragilità della sua preda, sferrando l’attacco famelico nel momento del tentennamento.
Per quanto i popoli dell’interno dell’isola, quelli che a tutt’oggi rappresentano la vera stirpe dei Sardi, vituperati e certamente anche invidiati dai Romani, quegli stessi abitanti delle zone più interne che ancora oggi non amano un’identificazione globale con i Sardi delle zone costiere, si opposero fermamente allo straniero, opponendo una forza tale da essere odiati nei secoli, Roma ebbe la meglio.
La Romanizzazione della Sardegna, come d’altronde tutte le altre dominazioni seguitesi fino a pochi secoli or sono, non ha potuto cancellare l’identità di un popolo impenetrabile nel suo nucleo più profondo.
Certamente i Romani hanno portato la loro cultura, l’isola subì un profondo cambiamento interiore ed esteriore, ma la sardità non fu mai cancellata e mai potrà esserlo.
Ma questa è un’altra storia.
VALERIA fu certamente il segno di un cambiamento esteriore di quelle sembianze “barbare” caratteristiche dei luoghi più antichi.
Fiorirono in quel tempo nuovi insediamenti sulle coste e nelle pianure, più per motivi di difesa militare che per il vezzo di abbellire o inurbare siti preesistenti.
Non dimentichiamo che la Sardegna era il “Granaio di Roma”, d’altro canto, se non avesse avuto delle ricchezze depredabili, i Romani non avrebbero avuto motivo di conquistarla.
Lo status di colonia era dato da Roma con l’intento di istituire un centro agricolo, come ricorda lo storico Grundina, che a Valeria ha dedicato un lavoro eccellente sortito nella pubblicazione dell’omonimo libro. Il sostantivo colonia trova la sua etimologia nel verbo latino “colere” che significa “coltivare”.
Quindi le colonie erano quelle terre conquistate che venivano assegnate ai cittadini romani che si trasferirono con le loro famiglie a godere di un nuovo progetto di vita, dopo anni dedicati al servizio della patria.
Il nome della colonia Valeria potrebbe certamente essere di matrice augurale, in ringraziamento a Valerio Triario pro Pretore della Sardegna che, oppostosi fermamente ad Emilio Lepido e all’appoggio alla politica pompeiana, assegnò terre nell’isola ai veterani di guerra.
Valeria è citata in un’opera del geografo Tolomeo, vissuto in Egitto nel II sec. d. C. , autore dell’opera “Gheographia” che per quanto abbia “ovviamente” compiuto degli errori di valutazione, risulta essere un importantissimo geografo per la storia.
Nella sua opera il geografo menziona tra le città della Sardegna “Oualeria”, collocandola a meridione vicino a Karalis.
Quattordici secoli dopo, il geografo Fara fece riemergere dall’oblio Valeria, località non distante da Decimomannu, le cui rovine nel periodo in cui scrisse, tra il 1570 ed il 1580, si sarebbero trovate presso il ponte romano in una posizione fuori dal paese.
Non essendoci una testimonianza fisica del luogo tra gli storici si creò una nebulosa criticità in merito all’effettiva esistenza di Valeria, ma si realizzò la convinzione che in realtà la colonia di Valeria fosse frutto di un refuso, e che gli storici e i geografi del passato intendessero nominare Valentia o la città di Aleria in Corsica, o l’omonima città spagnola. Sostenitore dell’esistenza di Valeria fu lo storico Angius, vissuto nel 1800. Affrancando la tesi di Tolomeo, identificò la polis come la più meridionale del Mediterraneo, ubicandola presso Sanluri.
Si ipotizza che la polis, alla luce dei reperti ritrovati, fosse distribuita tra una sponda e l’altra sulle sponde del Flumini Mannu, comprendendo i territori della vallata di Uta, Decimomannu, Decimoputzu e Villaspeciosa.
Forse fu un insediamento nuragico che subì una ristrutturazione secondo lo stile punico, per poi diventare a tutti gli effetti un centro abitativo romano o romanizzato, con edifici pubblici di media fattura architettonica; una modesta comunità rurale con funzioni amministrative, giudiziarie, un distretto abitato da circa un migliaio e più di persone in un’isola abitata in età augustea da 400 mila abitanti.
Non è possibile sapere che fine ha fatto la città di Valeria. Le teorie storiche non arrivano ad ud una conclusione certa, ma hanno il denominatore comune che le conduce all’attuale Decimomannu.
Se quello romano fu un periodo di dolce giogo, l’ epoca dei Cesari a cui seguì la crisi dell’occidente, portò il dissolversi di diversi centri urbani, tra cui anche Valeria.
Forse, a causa di contingenze storiche, tra cui le incursioni dei Vandali, il centro urbano fu abbandonato e inghiottito dal fango portato dai fiumi usciti dagli argini.
Forse Valeria si trasformò in una palude malarica, restituendo di tanto in tanto, qualche piccola testimonianza materiale della sua esistenza passata.
Probabilmente, per cause naturali come una grande alluvione, e per la contestuale venuta meno dell’assetto politico ed economico che avevano dato vita a questo centro urbano, gli abitanti si spostarono in una zona meno a valle, in quelli che sono oggi i centri urbani di Decimomannu, Decimoputzu, Uta e Villaspeciosa.
Restano oggi importanti segni materiali, se non di Valeria, della forte presenza dei Romani, come il ponte sul Flumini Mannu, potente mezzo di passaggio delle merci da una parte all’altra della pianura, oggi distrutto e abbandonato.
Un tempo il fiume era navigato da barche colme di mercanzie, che si spingevano fino allo Stagno di Santa Gilla, che come scrisse Claudiano nel IV sec. d.C. , poteva al tempo ospitare nelle sue calme acque, un’intera flotta di navi da guerra. Il tempo ha modificato la morfologia di questo bacino d’acqua che bagnava i lidi d’ Assemini.
A tutt’oggi i luoghi sono completamente diversi, laddove era l’acqua vi è vegetazione.
Laddove visse una seppur flebile testimonianza della storia Romana, oggi non restano che le ipotesi e le teorie di alcuni storici che alla memoria di un tempo passato di morire definitivamente.
Andrea Governi