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BARBETTA. È questo il nome che mi è stato attribuito, causa la mia barba tagliata a punta sul mento.
Un accorgimento che ha reso il mio volto particolare, lo ha “allungato”, come per voler incorniciare la mia faccia espressiva, ma “guastata” da un incidente.
Sono un bronzetto nuragico ritrovato a fine Ottocento a Matzanni, località archeologica e panoramica tra i monti di Villacidro e di Vallermosa.
In quest’area paradisiaca, quand’ero un vita, feci scavare 3 pozzi sacri.Accadde tanti millenni fa al tempo che voi, gente moderna, chiamate “età dei nuraghi” o per l’appunto periodo nuragico.
Dinnanzi ai pozzi di Matzanni, noi sacerdoti e sacerdotesse, in sintonia con la natura e le anime degli alberi, delle pietre e soprattutto dell’acqua, portavano la gente che si prostrava al cospetto del tribunale del nostro mondo.
Raggiungevano spesso quei templi a pozzo dopo un lungo cammino. Ed è nel corso d’una cerimonia solenne che un ladro di bestiame e di terra, sarebbe stato “toccato” dal giudizio.
Se ne aveva combinato una delle sue, a punirlo – rendendolo cieco o infermo nelle mani- sarebbe stata l’acqua sacra. Non ci crederete ma funzionava per davvero, IL GIUDIZIO DELL’ACQUA.
Ogni qualvolta c’era chi, tra i ciechi e i malati veniva guarito dall’acqua dei pozzi, facevamo una grande festa e la gente che accorreva da ogni parte dell’isola.
C’era chi suonava le canne e il tamburo e chi ballava mano nella mano con gente sconosciuta facendo il girotondo.
AI MIEI TEMPI, la Sardegna, aveva altri pozzi sacri: quello che voi chiamate di Santa Cristina o quello di Santa Anastasia, di Funtana coberta o Su Tempiesu, per citarne alcuni.
Ma i templi sacri di Matzanni, quelli voluti da BARBETTA, sono una rarità, unici al mondo perché – appunto – sono tre a breve distanza l’uno dall’altro.
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La loro acqua è di vena, come tale è pura, con una energia potente che giunge dal cuore pulsante della terra e poi sgorga melodicamente gorgogliante in superficie.
Basti pensare che ha attirato anche dei marinai giunti da altre terre, gente vestita con colori purpurei, sgargianti rispetto ai nostri indumenti di pelle.
Gente che ha notato le nostre feste accoglienti, è stata ospitata nelle capanne della zona e perché stava bene con noi, ha edificato un altro tempio, posto a breve distanza dai pozzi di Matzanni. Però più brutto.
Quando sono morto e le cerimonie hanno avuto fine, i templi a pozzo nei quali officiai tante cerimonie, solo crollati.
Oggi di quell’epopea sopravvive appena il ricordo. La scala d’accesso al mondo sotterraneo dei pozzi è ancora visibile: sopravvive in mezzo alla vegetazione che si riappropria dei suoi spazi.
Ma di acqua, laggiù, in fondo ai pozzi, ne sgorga ancora parecchia che nei giorni di solstizio viene baciata dal sole.
Continua…