Cagliari. I grottoni del Giardino pubblico accessibile da Viale San Vincenzo, che si estendono per oltre 800 mq, devono essere salvati! Invece sono liberamente accessibili a quanti li utilizzano come bagno pubblico, o come luogo appartato dove trafugare reperti storici e archeologici. Lo testimoniano: scavi sul pavimento, tracce di fuochi, e soprattutto un tappeto di escrementi visibili sul pavimento di roccia, accanto a cimeli storici e ai resti di marmi antichi, colonne, fioriere in stile liberty.
Nel nostro reportage realizzato da Marcello Polastri e Antonello Lai (in onda su Tele Costa Smeralda, a Zona Franca).
Una fioriera di marmo, anzi due, riposano sul terreno, tra le mosche che ronzano attorno ad un grappolo di fichi maleodoranti. Ci troviamo nel cuore del Giardino pubblico San vincenzo, il vecchio terrapieno cagliaritano. In questo luogo affollato di gerani dai mille colori e profumi, a pochi passi dal chioschetto dei gelati è visibile, poco prima dell’accesso ad un passaggio sotterraneo, una vera discarica, in pieno centro città.
E’ composta da una decina di colonne in marmo, appartenute forse al vecchio mercato del pesce (quello che per intenderci sorgeva nel largo Carlo Felice). poi ci sono, sempre tra le sterpaglie, capitelli e panchine di ferro battuto.
Ed è impensabile che questo scempio avviene a ridosso della costosissima “riqualificazione” (protrattasi per oltre un anno) e la riapertura al pubblico dei giardini del Terrapieno.
Per questa ragione, il nostro Gruppo speleo-archeologico Cavità Cagliaritane, su iniziativa del comitato scientifico, rivolge un appello al Sindaco di Cagliari e all’Assessorato alla cultura affinché impediscano questa deplorevole situazione, che vede dei beni archeologici abbandonati all’incuria del tempo e degli uomini, utilizzati come una maleodorante latrina, lontana da sguardi indiscreti.
Ci giunge notizia che il giardino è sprovvisto dei servizi igienici e a farne le spese sono le suggestive grotte, prive di un cancello che è stato asportato da chissà chi e chissà quando. Non è tutto: in passato, il GCC denunciò quanto segue:
in un salone della grotta (alta in alcuni punti 6 metri) era presente una statua abbandonata, che si rivelò preziosissima, perché realizzata dallo scultore Francesco Ciusa. E nello stesso sotterraneo, come riportato nel volume “Cagliari, la città sotterranea” (di M. Polastri, edito nel 2001), erano visibili fino al 2001 numerose statue e un carro funebre che, secondo lo speleologo Diego Scano (nella foto), era stato realizzato dalla FIAT nel 1920.
Anche questo cimelio del secolo scorso è scomparso, come ingoiato dai misteri della cavità sotterranea artificiale.
Scomparso assieme a marmi pregiati appartenuti – con molta probabilità – a un tempio sacro, forse una chiesa di cui si è persa la memoria. Uno schiaffo alla nostra storia e alla nostra cultura.
Per questa ragione il GCC lancia un appello alle amministrazioni pubbliche perché provvedano, quanto prima, a valorizzare il sito: sarebbe bello renderlo fruibile al pubblico, valorizzandone la storia!
All’interno del vasto salone sotterraneo, che immette in altre sale laterali, troviamo una lapide di “Vittorio Emanuele I Regnante”, presa a martellate o forse bastonata con un oggetto contundente. Ma non è tutto: in una cassetta di legno, per fortuna, si sono salvati i cadaveri mummificati di due gatti. “Imbalsamati – spiega Marcello Polastri nelle sue pubblicazioni – con il processo dell’imbalsamazione naturale“. Cioè grazie al pulviscolo calcareo che incessantemente, giorno e notte, cade dalla volta della caverna, depositandosi su ogni cosa.
In questo caso specifico, i cadaveri di due gatti, forse sono rimasti in quell’angolo della grotta dal periodo bellico. A rievocare i tragici bombardamenti aerei del 1943 sono alcuni sedili, realizzati con il cemento armato: rievocano storie tristi di quando, numerosi cagliaritani, si riparavano sotto la coltre rocciosa della città.
C’era chi se la faceva addosso per la paura, chi imprecava e chi da un momento all’altro impazziva. Alcune di queste storie ci sono state raccontate dal signor Luciano Lai che si rifugiò in questi umidi ambienti, conservando ancor oggi un ricordo indelebile.
Ricordi, già. Ricordi che sono lontani da occhi indiscreti, leggibili sulle pareti delle sale sotterranee, incisi con la punta di un chiodo che scalfì la roccia oppure scritti con un pezzetto di carbone, come le firme di quanti si rifugiarono laggiù, a dieci metri di profondità dal Castello di Cagliari. Lo stesso Castello che è stato edificato forse grazie alla pietra estratta, nel Medioevo, da questi sotterranei. Ora privi di un cancello. Ed anche per questo minacciati dall’incuria. Perché relegati – ingiustamente – ad uno stato di degrado.
Lo documentano le immagini che avete visto: cimeli abbandonati, altri scomparsi. Buche nel pavimento fatte da mani anonime.
Ancora: colonne sepolte, lapidi rotte, gatti mummificati e un carro funerario che, seppure risaliva agli anni ’20 del 1900, non è stato accolto in un museo e chissà che fine ha fatto. E poi il crollo di alcune masse rocciose, a pochi passi dall’accesso della cavità. Forse concepita dai romani per estrarre i cantoni da costruzione. Certamente riutilizzata nel medioevo e durante la seconda guerra mondiale.
Se un’altra città avesse avuto un gioiello simile, forse, lo avrebbe saputo preservare e perché no… valorizzare.
Non vi sembra?