Sono trascorsi sei anni da quando Marcello Polastri, presidente del GCC e che allora scriveva per il quotidiano La Nuova Sardegna, pubblicò un articolo dedicato all’ex Cementeria di Santa Gilla. In quell’area erano celati numerose cavità sotterranee di antiche origi ma, allo stato attuale, in quel terreno vanno avnti i lavori per la realizzazione di un grande complesso residenziale e commerciale. Con il motto ” per non diamenticare” riproponiamo l’articolo rintracciato nei nostri archivi. Buona lettura.
SALTERA’ IN ARIA CON L’ESPLOSIVO L’EX CEMENTERIA DI CAGLIARI.
In quegli edifici storici è stato prodotto il cemento di tutte le dighe della Sardegna
Da: La Nuova Sardegna — 10 agosto 2003, pagina 1, sezione: Cagliari.
Cagliari. La demolizione dell’ex Cementeria di via Santa Gilla segnerà per la Sardegna la perdita di un rudere storico: con gli edifici minerari di Montevecchio ed il mulino Sem di Cagliari, era tra le più vecchie industrie dell’isola. Salterà in aria con l’esplosivo che gli artificieri della ‘Esplodem Service’ piazzano in questi giorni: ovunque, sotto gli spaziosi fabbricati, sotto i robusti pilastri che hanno sorretto silos, nastri trasportatori e montacarichi, corre il filo rosso che innescherà le detonazioni. Spariranno così, in una nuvola di polvere, tonnellate di cemento armato che hanno ospitato gli apparati meccanici per produrre altro cemento, utilizzato per la costruzione di opere imponenti: in città, nei paesi isolani ed anche all’estero. La fabbrica ‘Santa Gilla’, con la sua vasta gamma di materiale cementizio prodotto ai primi del ’900 ha consentito l’edificazione di strutture in tante città italiane e nell’isola. Il suo cemento è stato largamente usato negli anni Cinquanta per la ricostruzione dei centri abitati rasi al suolo dai bombardamenti aerei della guerra mondiale. Nel dopoguerra l’ex cementeria divenne ben presto la base dell’industria edile e delle costruzioni in genere sia aeree che subacquee, una produzione di grande importanza economica e sociale.
Ma c’è di più: il complesso industriale è stato tra i pochi in Sardegna a sorgere a seguito di progetti precisi. Fra i tanti: la produzione del cemento armato per la costruzione della diga sul fiume Tirso, che ha contribuito alla produzione di energia elettrica e alla bonifica di Arborea. Altre dighe e sbarramenti sono sorti un po’ ovunque con il cemento di Santa Gilla, così la fabbrica d’azoto di Ozieri ed altri manufatti ad uso civile, religioso, industriale. L’isola insomma – un po’ meno gli ambientalisti – deve molto alle ‘Cementerie di Sardegna’ che fino a ieri erano situate alle porte della città, nel quartiere cagliaritano di Sant’Avendrace. Un quartiere povero, che ha sacrificato i suoi colli (Tuvixeddu, Tuvumannu, Is Mirrionis) per fornire il calcare utile ai silos della grande fabbrica collegata, tramite una galleria urbana lunga chilometri, al canyon di via Is Maglias ed alle vicine cave: è da quei terreni che provenivano tonnellate di pietre destinate ai frantoi.
Cagliari ha sacrificato la più grande necropoli fenicio-punica del Mediterraneo, perso un patrimonio archeologico, storico e paesaggistico di inestimabile valore per pagare caro il tributo delle cave: migliaia di tombe e sepolcri romani, una miriade di reperti divorati dalla furia delle escavatrici, crateri e cave estese chilometri. Ogni giorno, fino all’ultimo ventennio, mentre il capoluogo isolano viveva con le sue ansie, il traffico, i rumori, a Santa Gilla esisteva un’altra realtà: centinaia di lavoratori svolgevano mansioni faticosissime, paragonabili per alcuni aspetti al lavoro minerario. A Santa Gilla come nelle miniere del Sulcis lavoravano gli spaccapietre, si alternavano gli addetti alla cernita, gli uomini che spingevano i carrelli ed entravano nelle viscere della terra per estrarre il calcare. Anche nella cementeria di Cagliari sono avvenuti numerosi incidenti sul lavoro: operai che hanno perso la vita senza che poi nessuno abbia voluto ricordarli con epigrafi o commemorazioni solenni.
Marcello Polastri