Qanat e Acquedotti: storia delle opere idrauliche

Comunemente associamo la storia degli acquedotti alla civiltà greco-romana mentre la ricerca di soluzioni adeguate all’individuazione e al trasporto dell’acqua, risale ad epoche molto più remote. Il problema dell’approvvigionamento idrico è stato affrontato dalle più antiche culture con sistemi empirici, con lo sviluppo di tecniche adeguate alle caratteristiche del territorio e dell’ambiente circostante. Forse le prime tecniche costruttive legate al trasporto dell’acqua sono nate in Mesopotamia: possiede “cunicoli” idraulici estesi 300 mila chilometri. Sotto Cagliari ritroviamo condutture simili, certo non così estese, lasciateci comunque in eredità dei Fenici e dai Cartaginesi…

Questa immagine documenta l’esplorazione di un “qanat” nei terrirori desertici della Tunisia, dove le popolazioni locali, circa tremila anni fa, concepirono tunnel chilometrici alti circa 170 cm e larghi poco meno di un metro. Cunicoli che avevano la funzione di captare dalle sorgenti e trasportare altrove l’acqua, facendola pervenire alle camere di decantazione e alle vasche limitrofe colture agricole, orti e abitazioni. Osservando le pareti rocciose dei “qanat” della Tunisia (vedi l’immagine a sin), notiamo le tracce di scavo lasciate dagli scalpellini nei territori rocciosi, metre in quelli desertici, come ad esempio nel deserto del Sahara, i quanat corrono sotto la sabbia compatta e presentano pareti rivestite in muratura o smaltati secondo antiche tecniche lavorative dell’argilla.

Ma quanto ha faticato l’uomo per “portare a casa” un po di acqua di falda, senza dover attendere quella piovana che – quando Dio voleva -cadeva dal cielo? 

Dai libri di storia, specie da quelli scolastici abbiamo appreso che la civiltà mesopotamica e quella sumera, erano solite costruire condotte sotterranee (o simili), per certi tratti realizzate in mattoni e coperte da volte, indispensabili per il drenaggio e per lo scolo del liquido vitale. Sono stati numerosi i ritrovamenti di quegli antichi acquedotti scavati nella roccia in Giudea, nella Samaria, nella Galilea ma non solo. Trattasi di opere che furono realizzate secondo regole ben precise, e sono riconducibili all’arte costruttiva dei Fenici.

Esperti di ingegneria idraulica sono convinti che furono loro, i Fenici (giunsero a Cagliari nell’VIII – IX secolo a.C., dopo aver lasciato la potente Tiro), ad assimilare e divulgare le prime  cognizioni di “scienza” o di “ingegneria idraulica” adottate da ancor più antiche culture ittite. I Fenici sperimentarono tali tecniche nei loro territori, a Tiro ad esempio, ed in altre aree geografiche desertiche o pseudo tali, la creazione ed il funzionamento di acquedotti chilometrici, che hanno avuto sviluppo in varie parti dell’Africa e dell’Asia occidentale, superando condizioni climatiche ostili (di tipo arido o semiarido) che spinsero l’uomo a cercare soluzioni idrauliche atte ad evitare perdite d’acqua, anche a causa dell’evaporazione.

Ci riferiamo a opere importantissime, fondamentali per preservare le riserve idriche dalle tempeste di sabbia e dagli attacchi dei popoli invasori. Non solo. per non farle evaporare sotto il sole cocente, specie nei territori desertici, tenendole quindi al riparo nel grembo di madre terra. 

Come detto in precedenza, tra questi antichi manufatti, spiccano i “quanat”. 

Sono cunicoli sotterranei lunghi chilometri, ingegnosi e atti a “inseguire le falde” per convogliarne l’acqua verso i punti desiderati, e rappresentano il primo esempio di acquedotto sorto nei più antichi e remoti territori iracheni. Non a caso, i qanat dell’Iran, la cui invenzione risale al I millennio a. C., sono stati realizzati in maniera formidabile tant’è vero che ancor oggi forniscono i 3/4 del fabbisogno d’acqua del Paese. Pensate che formano una rete sotterranea estesa per 300 mila km. Probabilmente i Romani, che nei secoli successivi costruiranno  ovunque i loro formidabili acquedotti, hanno preso spunto da queste opere e hanno agito così bene che alcuni loro acquedotti, a distanza di millenni, sono ancora funzionanti.

Ma come sono fatti i “quanat”?

Sono costituiti da un complesso sotterraneo di cunicoli verticali, molto simili ai pozzi, però collegati da un canale sotterraneo, molto stretto, scavato a misura d’uomo, generalmente basso, con una lieve pendenza sul fondo. Tali opere cunicolari furono concepite – a detta degli esperti – nella Mesopotamia per attingere l’acqua da una falda acquifera in modo da trasportare efficientemente il liquido in superficie, senza necessità di pomparlo o aspirarlo. Infatti l’acqua fluiva per effetto della gravità perché la destinazione è più bassa rispetto al punto di origine che – spesso – è una cosiddetta falda acquifera. Inoltre i cunicoli che caratterizzano i “qanat” consentivano all’acqua di essere trasportata a grande distanza in quelle aree caratterizzate da un clima caldo e secco, senza perdere una grande quantità di liquido per via dell’evaporazione.

In definitiva i “qanat”, alcuni dei quali sono ancor oggi in funzione ad esempio in Tunisia, furono creati per fornire trasportare acqua da una fonte agli insediamenti umani o per l’irrigazione di suoli aridi e caldi. Ne sono presenti in Cina e in Libia. Ma la tecnologia su cui sono basati i primissimi costruttori si sviluppò inizialmente nell’antica Persia, per poter essere assimilata da altre culture, diffondendosi in particolare lungo la via della seta, dunque verso est (Cina) e verso Ovest fino ad altri territori del mondo islamico: Marocco e Penisola iberica. Non va dimenticato che la validità di sistemi di distribuzione di questo tipo è testimoniata dal fatto che ancora oggi, dopo tremila anni, sono in funzione acquedotti sotterranei costruiti con criteri praticamente immutati.

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